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      » — 12 novembre), tutti consueti elementi della propaganda clerico-reazionaria. Di tanto in tanto, invece, qualche azzeccata punta contro le pose della borghesia democratica: «In questi ultimi anni — scrive ad esempio il 21 febbraio '50 — la parola d'ordine, lo specifico per far fortuna si è la tenerezza per il popolo che si ha sempre fra le labbra»; e il 1° di giugno: pare impossibile che non si possan piú scrivere due righe «senza levarsi il cappello a monsú il Popolo».
      Il Risorgimento, Il Carroccio, Lo Smascheratore sono esempi tipici dell'appassionato fervore sociale che animava in quegli anni le diverse frazioni della borghesia colta piemontese. Ma quanti altri giornali implicati nella grande polemica si potrebbero citare!
      Filosocialista è la torinese Gazzetta del Popolo (Borella, Bottero, Govean), avanguardia della democrazia radicale; filosocialista La Fratellanza di Cuneo (ecco forse un altro di quegli imprudenti giornaletti di provincia, ai quali accennava Il Risorgimento), che nel marzo 1850 dichiara non essere le libertà politiche se non «crudele ironia pei molti che soffrono». Nel gennaio 1850 inizia le sue pubblicazioni a Torino L'Universitario, il cui programma reca, oltre l'impegno di dedicarsi al «miglioramento di condizione delle povere classi», un grido di «guerra agli abusi ed a' privilegi». La Voce del deserto, torinese anche essa e diretta dal Brofferio, fa aperta professione di socialismo: ne I Mietitori, ad esempio, poesiola stampata l'8 settembre, mentre si lamentano le crude disuguaglianze sociali («qua si agonizza di fame e sete — là si singhiozza di sazietà»), è stigmatizzata l'assurda pretesa che molti hanno di trovare sinceri affetti di patria in «chi suol non ha»; un articolo del 24 novembre risolutamente afferma («a costo di sentirci a chiamare socialisti») notarsi nell'ordine sociale «capitalissimi vizi da riformare» se si voglia davvero «ricondurre l'Europa a riposate condizioni». Lo stesso giornale mazziniano Italia e Popolo, di Genova, che pur riceve da Londra istruzioni antisocialiste, abbonda nel senso contrario, come dimostra il canto allo Sciesa dovuto a «un operaio» e pubblicato il 19 agosto 1851, come dimostra un articolo dell'11 settembre 1851 in suffragio della tesi, diciamo cosí, pisacaniana, secondo la quale non vi sarà vera rivoluzione nazionale se non accompagnata da una rivoluzione sociale.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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