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      Bella scoperta! Anche Mazzini diceva cosí, soltanto che loro non trovavano mai il momento opportuno, e a lui pareva che dieci volte l'anno lo si fosse lasciato sfuggire; per loro le forze non eran mai sufficienti e a lui, per meravigliosa illusione che i disinganni patiti non offuscavan neanche, parevan sempre imponenti. Differiva, insomma, la disposizione profonda dell'animo: se da Napoli, da Milano, dalla Sicilia, s'invocavano aiuti per un moto già stabilito, dovrei io rifiutarmi, domandava Mazzini, in nome della grande iniziativa avvenire? E non assumerei in tal modo la responsabilità del fallimento di quel moto? Rispondevano i dissidenti che a guardar bene si trattava sempre d'iniziativa sua, diretta o indiretta, di spinta originariamente data da lui e che a lui tornava, in seguito, sotto specie d'iniziativa locale; e perciò bisognava boicottarle tutte, queste pericolose proposte partenti dalle varie provincie, a meno che non fossero di tale importanza e non presentassero, già di
      per sé, tali elementi di probabile successo da rendere opportuna una mobilitazione generale delle riserve del partito. Il giudizio definitivo, comunque, fosse lasciato a loro, riuniti in Comitato militare, a loro esperti in materia.
      Mazzini concludeva che se la rivoluzione italiana doveva attendere il beneplacito dei signori ufficiali, tant'era non pensarci piú, e acconciarsi una volta per sempre al giogo degli austriaci e del Borbone e del Papa.(134)
      La dolorosa schermaglia si protrasse per anni.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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