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      Comunista o collettivista, proudhoniano o d'altra scuola ancora, d'una cosa era certo: che le mezze misure non conducono a nulla e che il mondo, per progredire, ha bisogno di scosse.
      L'urto fra i due in materia di politica sociale s'inasprí ancora nel seguito: nel '51 Mazzini era pur sempre, per Pisacane, il vecchio amico Pippo; dal '52 in poi non lo fu piú. Pareva adesso che un vero furore antisocialista si fosse impadronito di Mazzini, folgorante scomuniche ai novissimi eretici. Quando mai aveva trovato accenti tanto vibranti e sdegnosi nella sua carriera rivoluzionaria? Mazzini alleato della reazione, Mazzini «dall'altra parte»: era uno spettacolo doloroso davvero.
      Il nuovo manifesto del Comitato nazionale italiano (gennaio '52) e poi il vivacissimo scritto Doveri della democrazia (marzo) erano infatti requisitorie spietate. Onta ai socialisti per aver preteso ridurre «alle proporzioni di un problema economico... l'immenso moto delle generazioni anelanti unità di progresso, d'educazione, di fede»; onta a loro per aver spenta nel popolo ogni idea di dovere, ogni virtú di sacrificio; per avere identificato il «nome santo» di repubblica col concetto e la pratica della guerra di classe, con un impossibile annientamento della borghesia; onta ai socialisti francesi responsabili della vergognosa acquiescenza del «popolo iniziatore» alle baionette napoleoniche; onta e rimorso per avere, nell'epoca sacra alla ricostituzione delle nazionalità, infiacchito, per quanto potevano, ovunque, l'amore di patria.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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