Nessun desiderio di polemica, molto di solitudine e di raccoglimento. Il naturale distacco dalle cose dell'oggi che prende chi abbia d'un tratto scoperto l'immensità delle cose che furono. E anche quando lo riafferra il giuoco della politica attuale, gli piace intrattenersene con uomini che siano anch'essi un po' distanti dalle meschinità della lotta, al di sopra della mischia, differenti insomma da questi «insopportabili mazziniani» che pretendono occuparsi di tutto, dettar legge a tutti e che vivono nella certezza che niente accada in Italia se non voluto e predisposto da loro.
«Pisacane, che ho promosso e sostenuto fino a farmi nemici, s'è raffreddato con me — constata, non senza amarezza, Mazzini, — credo, perché l'ho biasimato d'aver detto male di Garibaldi: poi per nozione d'indipendenza personale proudhoniana e materialismo teorico».(143)
Cattaneo, Ferrari, Franchi, Macchi, queste le costellazioni piú luminose nel cielo pisacaniano dopo il tramonto, che sembrava definitivo, dell'astro Mazzini: era il gruppo dei federalisti, la cui produttività dottrinale cresceva di pari passo con la sua impotenza e inattività politica.
La corrispondenza tra Pisacane ed essi corse fitta in quel tempo, e svariata: sulle cose d'Italia e d'Europa, su libri, su uomini, su idee, su quel che era stato e su quel che sarebbe.
Era logico che Pisacane studioso si avvicinasse sempre di piú alla loro sonante officina intellettuale: non che quei quattro andassero in tutto d'amore e d'accordo, né che egli fosse disposto ad accettare come infallibili oracoli le loro sentenze; tutt'altro.
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