Agli affanni domestici si aggiungevano, non meno preoccupanti, quelli politici: la tempesta furiosa scatenatasi, in conseguenza dei moti milanesi del 6 febbraio, contro gli emigrati in Piemonte. Espulsioni a bizzeffe, tra gli altri del buon amico Macchi, del Crispi, del Maestri; molte altre minacciate e tenute in sospeso; ingiunzione a piú d'uno fra i nullatenenti d'andarsene, e sia pure col viaggio pagato, in America; verifica severa dei permessi di soggiorno, e finalmente la proibizione generale odiosissima, che convertiva l'ospitalità in confino, di allontanarsi per qualsivoglia motivo dal comune di residenza.(154) Un'ira di Dio: per fortuna durò poco. Sta bene che bisognava pur dare qualche soddisfazione all'Austria la quale pretendeva che il 6 febbraio fosse stato preparato entro i compiacenti confini sabaudi; ma il governo di Torino uscí giustamente malconcio, nonché dalle censure degli emigrati (estranei i piú o, se consapevoli, contrari all'ultima impresa mazziniana) da quelle, indignate ed unanimi, della democrazia piemontese.
Tanta tempesta non impediva affatto che gli emigrati di Genova, simili in questo ai loro colleghi d'ogni tempo e paese, si dividessero in gruppi e gruppetti antagonistici, un po' per varietà di programmi politici, un po' anche per piú meschine ragioni: qualche volta pareva che stessero là non tanto perché impegnati a condurre la lotta contro i governi che li avevano espulsi, sibbene contro i loro propri compagni di causa! Il guaio era che avevano tutti molto tempo da perdere e poco o niente da fare.
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