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      Ma se Cattaneo era al buio, figurarsi Pisacane; il quale una cosa sola allora capiva, che cioè quella guerra, in sé e per sé estranea affatto agl'interessi italiani, avrebbe forse potuto fornire un'occasione preziosa per la soluzione italiana della questione italiana: distraendo l'attenzione di Francia e d'Austria dal famoso equilibrio nella penisola, cosí caro ad entrambe, e soprattutto decongestionando l'Europa di truppe. Non aveva egli scritto quattr'anni innanzi che, supposta l'Italia sgombra dagli stranieri, non era poi tanto difficile di provocarvi lo scoppio della rivoluzione integrale? Perciò a Cattaneo che lo incitava a partir per la guerra «poco importava se coi Turchi o coi Russi, purché potesse acquistarvi esperienza delle guerre grandi e reputazione», egli rispose di no: quello era un momento da non lasciare l'Italia.(160)
      Né egli solo la pensava cosí: era presentimento abbastanza diffuso, seppure indeterminato, che da quel conflitto anche a noi sarebbe derivato qualcosa. Ridda di vaticini; ma certo eran pochi quelli che s'aspettavano la mossa del ministro Cavour, partecipazione cioè del Piemonte alla guerra a fianco delle potenze occidentali. Colpo di genio che la parte democratica, in blocco, fraintese, scagliando contro di esso il furore appassionato delle sue proteste. Lo sconfitto del '49 alleato dell'Austria? Era dunque la diserzione definitiva dall'impresa italiana ed antiaustriaca! Al punto che, quando l'intervento sardo venne irrevocabilmente deciso (con soli trentun voti di maggioranza alla Camera e venticinque al Senato), e s'apprestò il corpo di spedizione, né Mazzini né la maggior parte dei repubblicani piemontesi o emigrati dubitaron di gridare al tradimento e di sobillare i soldati perché gettassero i fucili:(161) «Quindicimila fra voi stanno per essere deportati in Crimea.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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