Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia... Morrete senza gloria... L'ossa vostre biancheggeranno, calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra...» Ingiustificabile eccesso, d'accordo; non era da Mazzini l'appello alla paura! Ma, d'altra parte, non lasciava tanto furore comprendere come, nonostante l'antipiemontesismo ufficiale, i rivoluzionari contassero ancora, per risolvere la questione italiana, sull'esercito sardo? Protestavano perché, mentre l'Italia era in ceppi, si mandassero quegli uomini a servire una causa lontana: non era questa una confessione preziosa? Se costoro fossero stati repubblicani al cento per cento, non avrebbero salutato con gioia, dopo l'impegnarsi dell'Austria in quella guerra lontana, l'impegnarsi anche dell'«altro nemico»?
Partito il contingente sardo, comunque, la via da seguirsi per i rivoluzionari parve chiaramente tracciata: profittare della situazione per riprendere in pieno, con disperata energia, il bombardamento d'insurrezioni in Italia. Per l'ennesima volta ecco Mazzini ripetere il suo ora o mai; furono in molti, anche fra i dissidenti di ieri, anche fra i «militari di Genova» che finalmente risposero: siamo con voi. Ma nessuno dimostrò, nel riaccostarsi a Mazzini, piú lieto slancio di Pisacane.
Dopo tanto blaterare contro il «tiranno di Londra» gli ex dissidenti eran dunque già tutti a Canossa?
Niente Canossa, nessuna rinuncia ideale, né di qua né di là: le profonde divergenze dottrinali e di metodo che avevano scisso il movimento repubblicano d'azione sussistevano ancora; e i dissidenti stringevan la mano non a Mazzini individuo, ma al capo responsabile d'un grande partito politico.
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