Alla necessità di una tregua, anzi di una azione comune s'era giunti da ambo le parti dopo un coscienziosissimo esame della situazione italiana quale si era venuta sostanzialmente modificando negli ultimi tempi.(162)
E infatti qual era sempre stato il postulato fondamentale comune ai due gruppi? Quello che esigeva, si sa, una soluzione rivoluzionaria e unitaria del problema italiano. Orbene la consultazione anche superficiale del barometro politico nell'anno '55 indicava invece una tendenza chiarissima verso soluzioni di compromesso per giungere a un sistema di monarchie costituzionali piú o meno federate. Bastava, per constatarlo, osservare cosa stesse accadendo in quelle tre regioni della penisola nelle quali lo statu-quo si era costantemente mostrato piú instabile e che perciò erano state sempre considerate come probabili focolai d'una crisi rivoluzionaria: il Lombardo-Veneto, gli Stati Romani, le Due Sicilie.
Nel Lombardo-Veneto, un po' per la migliorata situazione diplomatica dell'Austria, un po' per la diminuita tensione dei suoi rapporti col regno sabaudo (alleanza antirussa), lo statu-quo appariva evidentemente piú incrollabile che mai; l'unica lontana possibilità d'un suo mutamento era legata a un accordo europeo, in base al quale l'Austria si fosse piegata a una cessione totale o parziale dei suoi dominii italiani al Piemonte, in cambio di compensi territoriali in altre regioni. Comunque, niente da fare per il partito rivoluzionario nella pianura del Po.
Negli Stati Romani, retti da un governo sempre piú screditato e inceppato nel suo funzionamento, lo statu-quo era solidamente assicurato dalle baionette francesi; anche qui, dunque, nessuna speranza.
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