Di storia d'Italia, dall'antichità preromana su su fino al secolo decimonono, ce n'è forse anche troppa nel primo Saggio; ma dove non ti si rivela meramente manualistica, ben t'avvedi che Pisacane la conosce solo attraverso le interpretazioni dei suoi economisti e filosofi. Né d'altronde questa minutissima indagine sulla fortuna e la decadenza dei successivi regimi politici-sociali gli serve gran che per determinare l'avvenire d'Italia: tra la molteplice esperienza del passato e le vie del domani la discontinuità, il distacco sono evidenti. Difetta a Pisacane il rigor logico delle deduzioni; le sue profezie risultano perciò il piú delle volte arbitrarie.
Maestro egli si rivela, è vero, tanto nel tracciare la storia dell'arte bellica (nel qual campo orgogliosamente e abilmente rivendica la superiorità italiana) quanto nel disegno di una radicale e originale riforma degli ordinamenti militari (sostituzione della nazione armata agli eserciti stanziali);(168) ma questa parte, che riempie interamente i Saggi 2° e 4°, viola l'armonica economia del lavoro con la sua successiva lunghezza e minuzia.
Opera mancata, dunque? Nel suo insieme, e in relazione all'intento assegnatole, direi senz'altro di sí. Probabilmente lo stesso Pisacane, se avesse potuto riprenderla in mano qualche anno dopo la prima laboriosa stesura, avrebbe constatato che i Saggi non erano che il materiale dal quale un libro buonissimo e utilissimo avrebbe potuto cavarsi, a condizione che quel materiale venisse vagliato, ordinato, padroneggiato.
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