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      L'uomo, volto alla ricerca dell'utile, non è, per questo benthamiano integrale, buono o cattivo in sé: sono le leggi sociali che, facendo coincidere o meno il suo utile privato con quello della collettività, gli dànno o gli tolgono l'apparenza della virtú; è l'istituto della proprietà privata che fa l'uomo homini lupus; rimossolo e resane impossibile la ricostituzione, la società umana potrà finalmente trovare un assestamento duraturo e migliore. La disamina del meccanismo sociale si fa qui penetrante: la storia ha già mostrato a Pisacane l'inevitabile tendenza delle ricchezze all'accumulazione, di conseguenza l'accentrarsi del potere politico in un ceto sempre piú ristretto, causa prima di decadenza. Studiando la civiltà capitalistica egli fa un passo innanzi: quanto piú crescono le ricchezze sociali — e il mondo ne produce in assai maggior copia che non nei secoli andati — tanto piú la classe lavoratrice s'immiserisce.(169) «Le macchine e la divisione del lavoro hanno accresciuto il prodotto netto e nello stesso tempo ribassato grandemente il salario». La traiettoria fatale delle civiltà sarebbe dunque nuovamente al suo termine (che Pisacane ravvisa nel dispotismo militare); senonché l'enormità stessa dei mali che affliggono la società moderna porta in sé il suo rimedio definitivo: la rivoluzione sociale, la rivolta degli sfruttati cioè, mirante appunto all'abolizione integrale della proprietà privata. Sulla fatalità di questa benefica catastrofe Pisacane non nutre dubbi di sorta; di piú: nega esplicitamente che essa si possa incanalare, ritardare o affrettare.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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