I riformatori sociali non fanno che antivederla: le loro profezie sul suo svolgimento sono esercitazioni intellettualistiche utili solo per dimostrare ai conservatori impenitenti che un assetto sociale diverso in tutto da quello esistente è pensabile.
Come socialista, Pisacane sfugge alle classificazioni consuete: anarchico federalista nel battere in breccia ogni rudimento di governo centrale (superbe, vibranti queste sue pagine sulla libertà!) e nella dinamica del processo rivoluzionario, ti si rivela comunista autoritario laddove prevede che nella società post-rivoluzionaria ogni forma di attività farà capo e verrà disciplinata da due grandi, onnipossenti Associazioni monopolistiche, di lavoro agricolo e di lavoro industriale, all'una delle quali ogni cittadino verrà obbligato ad iscriversi e alle quali verranno devolute tutte le forme di proprietà.(170) Né il suo socialismo ha alcun carattere internazionale; concepito soprattutto in funzione e presentato qual soluzione della crisi italiana, esso non solo non implica superamento del patriottismo, ma anzi intensificazione, sviluppo massimo dei caratteri distintivi d'ogni nazione.(171) L'Italia socialista di Pisacane non vuol essere, insomma, nel mondo, la grande proletaria e basta: d'idealità pacifiste non è parola nei Saggi, anzi si discorre anche troppo di quel che potrà essere l'ordinamento militare piú efficiente e piú adatto alla sua importanza avvenire. Gli è che nonostante che la sua utopia lo porti a vagheggiare la trasformazione della società in un eden per tutti, imperniato sulla solidarietà degli interessi (Libertà ed Associazione è la sua formola preferita), il suo temperamento lo costringe nel contempo a conservare l'istintiva visione della vita come aspra continua lotta d'individui e collettività e a considerare il perfezionamento morale e materiale degli istituti e degli uomini come condizionato appunto al perpetuo rinnovarsi di quella lotta (e cioè della concorrenza).
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