Il pericolo c'era!
Il 20 luglio '55 anche Pisacane, in una vigorosissima lettera stampata sull'Italia e Popolo, lo denunciò, ponendo in rilievo con mordente irrefragabile argomentazione la bassezza, l'inutilità ai fini della liberazione d'Italia, e soprattutto l'assoluta inattualità dei disegni murattisti. Rincarò la dose il 22 settembre, sulla stessa Italia e Popolo: era tempo di finirla con le poetiche reminiscenze del re fucilato; chi era stato costui, in Italia, se non un «seide» di Napoleone, un violatore d'istituti di tradizioni d'aspirazioni italiane? Quale la sua gloria, in cosa mai la prosperità del suo regno, che solo la gran distanza di tempo indorava? Il giudizio della storia non era dubbio: la dominazione francese a Napoli si era risolta in un vergognoso disastro. E si sarebbe dovuto lottare e soffrire, e si sarebbe dovuto esporre il paese ai rischi d'uno sconvolgimento per ripiombare, volontariamente, nelle condizioni di allora?
Quattro giorni appresso, un reciso comunicato alla stampa sarda: gli emigrati delle Due Sicilie dichiarano «che siccome avversano l'attuale governo (borbonico)... perché incompatibile con la nazionalità italiana, per la ragione istessa avversano qualsiasi forma di governo che potesse costituirsi col figlio di Gioacchino Murat, e tanto maggiormente che in tal caso quel regno diverrebbe indirettamente una provincia francese». Trenta firme: tra l'altre, quelle di Pisacane, Cosenz, Boldoni, Pilo. Non molte, invero, nella gran massa di emigrati meridionali!
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