Nei primi mesi tutto andò a meraviglia: un diluviare di lettere da e per Napoli, da e per la Sicilia, da e per Parigi e Londra; molte adunanze; intensa campagna finanziaria; viaggi d'intesa in Italia e fuori d'Italia (Musolino, ad esempio, fu a Londra «per delegazione dei nostri di Piemonte ed in ispecie di Pisacane»).(181) In che consisteva la propaganda che si faceva? Ce lo dice una lettera, ch'io riassumo, di Pisacane a Plutino, 30 dicembre '55, intesa a cavargli quattrini: passato è il tempo delle discussioni teoriche, egli argomentava; in sede teorica né i piemontesisti posson convincer me che Vittorio Emanuele sia la fortuna d'Italia, né io convincer loro che lo sia la repubblica. Piemontesisti e repubblicani presumiamo tutti che i «fatti» ci daranno un bel giorno ragione. È dunque nell'interesse di entrambe le parti di promuovere «fatti» e rimetterci, pel bene del paese, alla risposta dei fatti. Se il Piemonte ha davvero, come dice, intenzione di agire per la causa italiana, essi gliene offriranno l'occasione; se i repubblicani interpretano davvero la volontà dei piú solo i fatti lo mostreranno. C'è poi il pericolo murattista: pazienza quei che ne ridono e non voglion perciò dar mano libera ai rivoluzionari, ma vi son altri che pur ritenendolo grave vi si rassegnano supinamente perché supposto conforme agl'incontrastabili interessi francesi. «Se otto milioni d'italiani debbono sottostare necessariamente al governo che gli potrà essere imposto da 20 a 30 mila francesi, allora con sí poca coscienza delle nostre forze, ogni ulteriore ragionamento è inutile, lasciamo ai nostri padroni di casa la cura di migliorare le nostre condizioni ed ognuno pensi a sé».
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