Murattismo a parte, si vede chiaro come il Centro si fondasse assai piú sull'equivoco che su un'intesa leale. Era facile infatti stendere un programma magari anche insurrezionale, con impegno reciproco di assoluta astensione da ogni propaganda di partito; ma nel fatto, come eseguirlo? Come evitare che ognuna delle parti contraenti si limitasse a proporre quelle sole iniziative che giudicasse convenienti al raggiungimento dei propri fini e si opponesse ad ogni altra? Come annullare gl'inevitabili sospetti reciproci di contribuire senza saperlo alla vittoria dell'alleato d'oggi, sicuro avversario di domani? Sarà vero o non vero (e a me non pare credibile) quel che scrisse il La Farina che la costituzione del Comitato «era stata una finta per allontanare la sorveglianza di Napoli da quelli che realmente operarono» — e intendeva gli emissari del governo piemontese —;(182) certo è comunque che quanti avvertivan davvero l'imperativo categorico di affrettare una soluzione definitiva del problema napoletano, non stentarono a rendersi conto qual sorta di cappa di piombo si fossero messi addosso, assumendo l'impegno assoluto di neutralità di bandiera; un Pisacane, che dichiarava di preferire l'assolutismo borbonico al costituzionalismo piemontese non poteva continuare a lungo a lavorare a fianco d'uno Scialoia, ad esempio, il quale dal canto suo avrebbe preferito le mille volte di morire in esilio piuttosto che veder la repubblica a Napoli!
Tramontata la breve luna di miele, nuovamente pensosa ogni parte della propria responsabilità, il primo scoglio che il Centro incontrò sulla sua rotta bastò quindi a sfasciarne il fragilissimo scafo.
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