(183) Lo scoglio fu la proposta formale avanzata dai repubblicani in seno al Comitato d'una spedizione armata nel Sud, che ponendo gli oppositori napoletani dinanzi al fatto compiuto e offrendo loro cosí la prova della fattiva solidarietà del resto d'Italia, li forzasse a tradurre finalmente in azione la fin qui inconcludente querimonia verbale contro il regime borbonico.
Disperazione dei costituzionali, persuasi che si sarebbe in tal modo irreparabilmente compromessa, precipitandola, una situazione, come quella napoletana, promettentissima e tuttavia non ancora del tutto matura; della quale immaturità, secondo essi, fornivano, senza volerlo, la piú bella prova gli stessi repubblicani, quando insistevano sulla inderogabile necessità preventiva d'introdurre forze esterne nel regno, per farlo insorgere. Ribattevano questi, chiedendo che mai, dunque, si dovesse fare per Napoli. E giú i costituzionali a magnificare le campagne di stampa in Piemonte e fuori, le pressioni sistematiche sulle cancellerie europee, e nell'interno del regno non tanto insurrezioni, buone a riempir le carceri, sibbene solenni, pacifiche dimostrazioni popolari antiborboniche. Il guaio era che non si trovava mai l'occasione per promuovere queste tranquille dimostrazioni. Era stata sí lanciata una proposta Manin per indurre i napoletani a rifiutar le imposte, ma si era finito col trovarla — giustamente del resto — piú rivoluzionaria e piú problematica di qualsivoglia spedizione armata.
Restò ciascuna delle parti, come accade, della propria opinione: quei di sinistra anzi sempre piú infervorati nel loro progetto e sospinti ad effettuarlo dalla minaccia murattista; quei di destra sdegnati e deprecanti, a profetar sciagure.
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