Poiché per scuotere i suoi placidi connazionali e gettarli nella rivolta, Pisacane lo capiva benissimo, non bastava fornir loro una propizia occasione e mezzi adeguati (come avevano erroneamente supposto quei della Legione Anglo-italiana); ma bisognava appunto colpire l'imaginazione popolare ponendo a capo dell'impresa destinata a suscitar la rivolta un di quei nomi di eroi che la plebe meridionale venera come santi e rispetta come briganti; e insieme fare appello, clamorosamente, alla innata generosità del sentimento popolare, notoriamente assai piú incline alla pietà che all'odio, assai piú largo di commiserazione alle vittime della tirannia che atto a rovesciare il tiranno in nome della comune libertà conculcata. La marcia degli ergastolani su Napoli, capeggiata da Garibaldi, era stupendamente calcolata per esasperare fino all'esplosione il senso di giustizia dei napoletani, offeso giorno per giorno, in una lunga serie di anni, da imperdonabili enormità giudiziarie. (Come remoti, astratti e dottrinari, al confronto, i pensieri sulla rivoluzione già svolti nei Saggi! Ma Pisacane si era adesso buttato al fare, e lo servivano meglio ormai certe azzeccate intuizioni di psicologia della folla che non i rigidi postulati della sociologia e della scienza economica).
Da quell'estate del '56 Pisacane, si può dire, non ebbe piú un giorno, non ebbe piú un'ora che non fosse dedicata a concretare il progetto di spedizione, a perfezionarne la tecnica dell'esecuzione, a studiar nuove forme di propaganda nel Sud.
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