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      Risulta che tanto i monarchici quanto i repubblicani devono, con tutti i mezzi di cui dispongono, spingere le popolazioni italiane delle provincie oppresse; i repubblicani, perché han fede soltanto nella insurrezione nazionale; i monarchici, nell'intendimento di creare al principato sardo un'occasione d'intervento».
      Dopo i primissimi numeri il pensiero degli scrittori s'andò chiarendo e rinforzando in senso estremista (di pari passo con l'aggravarsi del dissidio tra il gruppo mazziniano e quello garibaldino): l'èra della inconcludente resistenza passiva, delle proteste platoniche contro i regimi dispotici aveva ormai fatto il suo tempo; urgeva adesso passare a una decisa azione rivoluzionaria in tutta Italia; il punto morto, e cioè il reverenziale timore che il popolo, ignaro della sua immensa energia potenziale, nutriva per le baionette dei tiranni, andava superato con la violenza, d'un balzo solo. La penisola era tutta percorsa da una «striscia di polvere»: trovare chi le appiccasse il fuoco, ecco il problema immediato, risolto il quale il piú era fatto.
      L'accento cadeva naturalmente sulla situazione di Napoli, giudicata rivoluzionaria per eccellenza; e quindi, per contrasto, sul murattismo: diffidassero i napoletani degli aiuti stranieri! Si persuadessero esser preferibile le mille volte il dispotismo domestico «che almeno ha certi limiti» e «considera lo Stato come suo patrimonio» alla libertà concessa da un regime straniero. La libertà è una conquista attiva; libertà donata è un bisticcio di parole.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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