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      Nel comprensibile affanno finí col perder di vista il bersaglio medesimo, tanto che giunse al finale persuaso, diresti, che la minaccia di scacco gli venisse non già dal regime borbonico, ma proprio e unicamente da quel dannato binomio: Pisacane-Mazzini.
      Né questa può dirsi un'imagine sforzata del vero. Bisognerebbe, per convincersene appieno, leggere ad una ad una le sue missive, povero Fanelli, cosí vaghe, ineguali e contradittorie, dalle prime che parevano addirittura ordinanze o richieste d'un comandante in capo, alle ultime somiglianti piuttosto a timide giustificazioni del subordinato cui, col rimprovero solenne, sia stato impartito l'ordine di condurre senza piú discutere il suo reparto all'assalto.(224)
      Ma basteran qui pochi esempi.
      Siamo nel febbraio '57. Son già vari mesi che Fanelli ha scritto a Genova e a Londra: la rivoluzione è matura nelle Due Sicilie; a farla esplodere occorre solo una scintilla esterna; sia questa una spedizione armata. Adesso, nuove insistenze.
      2 febbraio, Fanelli a Mazzini e a Pisacane: «Io adunque ricorro a voi in nome del paese infelice, e vi domando consiglio ed aiuto... Noi abbiamo un lavoro che mi sembra bastevole elemento per una iniziativa imponente e decisiva... Manchiamo di direzione interna proporzionale all'opera da iniziarsi, manchiamo d'armi e danaro: voi potete coadiuvare in ciò che a noi manca?»
      10, 16 febbraio, risponde Pisacane: Fanelli conti pure su appoggio illimitato di consigli, di danari, di uomini. Non ad altri che a lui spetta però l'esporre il piano d'azione, studiato in accordo con le possibilità locali.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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