!»? Non resta, evidentemente, poiché è troppo tardi ormai per sostituirlo, che esautorarlo di fatto, limitandosi a trasmettergli ordini, istruzioni, incitamenti e rimbrotti, cestinando senza pietà le sue geremiadi inutili.
Cosí, ai primi di maggio, gli si comunicava seccamente la nuova data «definitiva»: il 25 del mese. Tanto meglio se ci si potesse accordare coi deportati nell'isola; in caso diverso, nessun rinvio: la spedizione avrebbe puntato direttamente alla costa.
E mentre Fanelli, al quale Mazzini e Pisacane dovevano sembrare geni furiosi e implacabili, esprimeva il dubbio che a Genova si facesse «la burletta per divagarsi dalle gravi preoccupazioni», o lamentava che lo si facesse «morir di palpiti, parlandomi sempre di otto in otto giorni e al piú da un mese all'altro per l'insurrezione», Mazzini, fulminandogli l'«adesso o piú mai per forse dieci anni», gli dava ordini minuti e precisi, in tono di chi non ammetta repliche: vedere il tale a Napoli, dir questo, chieder quello, minacciare cosí e cosí, recarsi qua o là, preparar queste e queste manifestazioni, scriver questi proclami; eseguire insomma, e appuntino, le istruzioni di Pisacane.(232) Pur non cessando dal protestare, dal declinare ogni e qualsiasi responsabilità, Fanelli finalmente chinò il capo; si perse meno in lettere e si mise a fare di piú, tentando di ripigliare il molto tempo sprecato: allacciò rapporti con gli esponenti delle varie opposizioni di Napoli,(233) mandò avvisi alle isole, alle sezioni tutte, agli amici residenti in località litoranee, tentò il tentabile per scuoter le provincie, facendo coi suoi corrispondenti — ma troppo tardi!
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