Il proclama è dunque un tipico frutto della collaborazione tra il suo dogmatismo morale e il pragmatismo di Pisacane. Pisacane concede un fuggitivo accenno introduttivo alla tradizionale formola Dio e Popolo(261) e acconsente a ridurre a poche ricette d'un blando riformismo il vasto suo programma sociale; Mazzini si rassegna per parte sua a che l'appello alla rivoluzione politica venga contaminato da una serie di materialistici do ut des. Pisacane sa fin troppo che la stragrande maggioranza della popolazione non avverte gl'imperativi di libertà se non in funzione del problema economico; Mazzini si affretta a mettere in chiaro, scrivendo a Fanelli, come «le promesse contenute in questo scritto possano verificarsi tutte senza sovversioni di diritti acquisiti, senza sconvolgimenti sociali».
Non mancano gli accenni alla questione militare, e questi son tutti di pretta marca pisacaniana: esercito nazionale, gli ufficiali eletti a suffragio indiretto dalla truppa medesima; non appena raggiunta l'unità italiana, organizzazione della nazione armata. In un proclama speciale dedicato all'esercito, l'invito all'insurrezione è accompagnato naturalmente dalla promessa di promozioni speciali a quelli tra i militari che v'aderiranno piú presto.
La notte del 4 di giugno, in Genova, gli organizzatori e i fautori della spedizione si riuniscono segretamente per prendere gli ultimi accordi, rivedere punto per punto il progetto e valutarne definitivamente le probabilità di successo. Salvo Castelli, meridionali tutti: Pilo, Pisacane, Nicotera, Cosenz, Carbonelli, Mignogna, Falcone, portavoce di Fabrizi, di fresco giunto da Malta.
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