Su tutti pesava, quella notte, come un oscuro presagio, l'ombra di Bentivegna; perfino Nicotera, un vulcano di solito, si diceva poco persuaso della maturità rivoluzionaria del suo Mezzogiorno.
Ma come un improvviso raggio di sole disperde una densa cortina di nuvole, cosí la sicurezza pacata, il logico ragionare, la voce insieme ferma e appassionata di Pisacane valsero a dissipare ogni esitazione con tale facilità, con tale prontezza che alle postume riflessioni di coscienze turbate il miracolo dovette sembrare spiegabile solo qual frutto di una vera suggestione collettiva. Perché mai tormentarsi di dubbi? Troppi segni accusavano ormai l'esistenza di una situazione tipicamente pre-rivoluzionaria nelle Due Sicilie, troppe scintille eran sprizzate qua e là perché si potesse mettere in forse l'imminenza e la gravità dell'incendio. La cronaca degli ultimi mesi non era stata che una lunga teoria di sedizioni, rivolte, attentati, collettive proteste: falliti tutti, tragicamente scontati, è vero, ma non forse esclusivamente perché quegli episodi si erano svolti indipendenti e isolati l'uno dall'altro né alcuno di essi si era rivelato di tanta importanza da costituire seria minaccia per la conservazione del regime borbonico? Non piú si trattava dunque di star lí a soppesare le disposizioni del popolo napoletano, fin troppo chiare: o che si voleva, che esso insorgesse d'un tratto, tutto insieme, inerme di fronte alle baionette tiranniche? Era tempo di offrirgli un'occasione irresistibile, una base d'appoggio se si voleva che osasse: la spedizione, precisamente, la marcia dei prigionieri armati.
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