Toccò a Pisacane, avvezzo d'altronde a certe sorprese da parte di quell'amico, di rabberciare alla meglio le istruzioni a Fanelli, avvertendolo che a Napoli si sarebbe recato soltanto il Commissario politico: alle cose militari provvedesse da sé.
Quanto agli uomini della spedizione, marinai e artigiani della Liguria, della Lombardia e delle Marche, gente devota a Mazzini, essi erano agli ordini. Pisacane, addí otto di giugno, li aveva con maschie parole sommariamente informati dello scopo e delle modalità dell'impresa.(268) La rotta era stata accuratamente studiata, e a Pisacane si era affidato il magro «tesoro» dell'impresa. Il dispaccio per confermare al Comitato di Napoli la imminente partenza era infine stato spedito quando, trafelato e disfatto, giunse Rosolino Pilo.(269) Era il disastro! S'imponeva il rinvio sine die della impresa; ma come avvertire Fanelli? Le menti agitate di Pisacane e Enrichetta, di Pilo e dell'amico genovese Mazzini, che era con loro, si figuravano già Napoli in tumulto e nuclei di insorti del Cilento, di Basilicata e Calabria in marcia verso la costiera di Sapri, nella rischiosissima attesa del Cagliari, e paesi e città piú lontani in rivolta, nella fidente attesa della rivoluzione italiana, attesa che si tramuterebbe ben presto in disperata angoscia, mentre la repressione borbonica avrebbe soffocato nel sangue quegli efimeri focolai d'incendio. Senza capi, senza programma, male armati, delusi, i compagni laggiú sarebbero caduti ancora una volta da soli, maledicendo.
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