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      (276) Il problema da risolvere era il seguente: è in grado il Comitato di Napoli di suscitare l'insurrezione nel regno senza che a muovere gli animi intervenga dapprima il fatto nuovo, sensazionale dello sbarco dei fuorusciti e dei prigionieri? Si dovette concluder pel no. Pisacane riferí subito a Pilo: «non vi è nulla di concreto pel momento; vi sono elementi disgregati, né possono concretarsi in pochi giorni: contavano tutti sul fatto nostro».
      Ritentare, dunque, la spedizione mancata? Pisacane, il giorno 14, si pone a valutarne in concreto le probabilità di riuscita: continua con le consultazioni con gli amici del Comitato, s'abbocca con moderati, scrive di nuovo alle isole.(277) Il giorno appresso ha già ritrovato il perduto ottimismo, per quanto non ancora si senta di prendere una decisione in proposito. Scrive a Pisani: se la spedizione si farà, si farà con i duecentocinquanta fucili in meno; quaranta uomini armati, e basta. Ci sono speranze di successo a Ventotene, e i relegati accetterebbero questo piano ridotto? «Le cose sono in modo, che un impulso, una scintilla può produrre un incendio, questo è il mio convincimento morale...»
      Il 16 giugno è la risoluzione finale: lo sbarco a Sapri avrà luogo, avvenga che può. Ultime istruzioni a Fanelli, agli altri membri del Comitato, piú o meno le stesse già concertate a Genova; unica variante essenziale, certo suggerita dalla poca incoraggiante esperienza fatta in quei giorni, quella di «evitare ogni discussione» coi moderati, «procedendo sempre ad assimilarsi gli elementi di azione,... opponendosi occultamente con ogni mezzo alle dimostrazioni.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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