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      Altra certezza che egli portava via con sé era quella del fracidume dell'edificio borbonico, ritto ormai per sola forza d'inerzia. La piccola folla dei discordi rivoluzionari napoletani stava lí quieta a riguardare il palazzo; tutti architetti, perdevano il tempo a disputarsi l'accollo della demolizione, vantando ciascuno la superiorità del proprio progetto e delle proprie maestranze. Non intendevano dunque che al primo colpo di piccone un po' deciso l'oggetto delle chiacchiere loro si sarebbe sfasciato in un nuvolone di polvere?
      Il vapore si staccava dal porto. Lontanava nel sereno orizzonte Napoli,(279) la sua Napoli, per la quale Pisacane soffriva la nostalgia senza requie di tutti i figli del Vesuvio raminghi nel mondo: Napoli, dove aveva sognato i sogni della sua adolescenza, dove era nato il primo, l'unico amore della sua vita, dov'era la sua casa di un tempo, con sua madre, con la sorella sposata. Aveva potuto abbracciarle e rivedere il fratello ufficiale borbonico cui, pel tramite di Fanelli, aveva, alcuni mesi innanzi, mandato un suo messaggio? Chi sa.(280)
      Patriota italiano, egli restava ancora e innanzi tutto napoletano: fiero del suo paese, lieto di sentirsi parte di quella folla variopinta, rumorosa ed espressiva, in mezzo alla quale si era mescolato ancora una volta, dopo dieci anni di assenza; fiducioso che quel popolo sobrio e paziente, ma all'occasione valorosissimo, fosse il piú degno in tutt'Italia e il piú pronto a dare il segno di una generale insurrezione per la libertà.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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