Via via che si dileguava nella distanza il volto materiale della città, doveva vibrare nella commossa imaginazione di Pisacane l'altra Napoli, quella delle sue speranze: Napoli insorta, la Napoli generosa ed eroica che la reazione del 15 maggio aveva soffocato; e, a Napoli insorta, il lieto affluire di volontari da ogni parte d'Italia, per ripigliar la guerra, dai Borboni malamente troncata nove anni innanzi.
Pensieri esaltati certo lo accompagnarono in quel viaggio, che alcuni giorni prima aveva compiuto in direzione opposta, il cuore turbato da miste speranze e timori.
A Genova il ritorno di Pisacane era ansiosamente atteso dagli amici: avevano passato, dal 9 di giugno, giorni d'inferno. La sera stessa della partenza dell'Aventino si era loro improvvisamente e dispettosamente presentata la possibilità di «rimbarcare altra partita di mercanzia», e cioè di non rimandare la spedizione neanche di un giorno;(281) poi si erano accorti che la polizia piemontese stava ormai sull'avviso e, pure ignorando ancora che al governo francese si era da qualche ignoto giuda comunicata la cifra usata nella loro corrispondenza settaria, si eran persuasi che, con tanta gente a parte delle loro intenzioni,(282) o si agiva entro pochissimi giorni o l'iniziativa era da considerarsi come senz'altro perduta.(283) «Tento di fare il lavoro del ragno — cosí si esprimeva il 20 di giugno la formidabile volontà realizzatrice di Giuseppe Mazzini —; se poi tutto avesse a fallire, sarò costretto, non dirò contro coscienza, ma certo con molta riluttanza, a finirla con un coup de tête». Intanto nuove armi si eran raccolte e nascoste, altro danaro era affluito.
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