Il 24 di giugno — manca un sol giorno all'imbarco — Pisacane riunisce in una casa fidatissima — quella dell'ardente mazziniana Carlotta Benettini — l'intero «corpo» della spedizione (oh non son molti, entrano tutti in una stanza sola...), e a ciascuno consegna una pistola, uno stilo ed un berretto rosso; null'altro. Poi Pisacane va dalla White, la sola straniera addentro alle segrete cose, e le consegna alcune sue carte alle quali tiene di piú: non vuol che finiscano nei polverosi archivi di polizia. C'è una cara vecchia lettera di Carlo Cattaneo; ci sono alcuni ricordi, c'è soprattutto il suo Testamento politico. Jessie, commossa, promette di tenerli per sacri: promette di vegliare su Enrichetta e su Silvia.
Nel Testamento Pisacane ha tentato un'impresa difficile: quella di giustificare l'imminente suo gesto con le dottrine sociali e politiche già svolte nei Saggi. È il socialista che va volontario alla guerra e che partendo dice: morirò socialista. Il documento è breve, sdegnoso; il suo stile incisivo e sicuro, quasi a coprir con la forma la fragilità dell'assunto: ma chi legga attentamente e non si lasci trascinare dalla foga irruente del discorso (che scandalo quell'improvvisa uscita: «per me dominio di casa Savoia e dominio di casa d'Austria è precisamente lo stesso!») e dalla sicurezza apodittica degli enunciati, ben s'avvede che Pisacane non è riuscito a conciliare le antinomie del suo spirito.
Nella prima parte è il socialista determinista che parla e profetizza: «Io credo che il solo socialismo.
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