.. sia il solo avvenire non lontano dell'Italia e forse dell'Europa... Sono convinto che le ferrovie, i telegrafi, il miglioramento dell'industria, la facilità del commercio, le macchine, ecc. ecc. per una legge economica e fatale, finché il riparto del prodotto è fatto dalla concorrenza, accrescono questo prodotto, ma l'accumulano sempre in ristrettissime mani, ed immiseriscono la moltitudine; epperciò questo vantato progresso non è che regresso: e se vuole considerarsi come progresso, lo si deve nel senso che accrescendo i mali della plebe, la sospingerà ad una terribile rivoluzione, la quale, cangiando d'un tratto tutti gli ordinamenti sociali, volgerà a profitto di tutti quello che ora è volto a profitto di pochi». È qui in pieno, si vede, la dottrina dei Saggi, con la medesima concezione della meccanicità del processo sociale, lo stesso schematismo semplicista, lo stesso catastrofismo: la rivoluzione sarà non tanto perché è giusto che sia, e neppure perché le masse lotteranno per imporla, ma semplicemente perché è inevitabile che sia, come resultato immancabile d'un contrasto di forze sfuggenti al controllo degli uomini. Nessun appello alle masse: determinismo puro.
Ma nella seconda parte del Testamento (che con un brusco «Sono convinto che l'Italia sarà libera e grande oppure schiava» immediatamente fa seguito al passaggio su riportato) Pisacane ci appare un altro uomo. Poiché, se egli vi riconferma la necessità d'una soluzione rivoluzionaria del problema politico italiano, subito aggiunge: «Ma il paese è composto d'individui, e poniamo il caso che tutti aspettassero questo giorno (della rivoluzione) senza congiurare, la rivoluzione non scoppierebbe mai». E poi: «Con tali principii avrei creduto mancare a un sacro dovere, se vedendo la possibilità di tentare un colpo in un punto, in un luogo, in un tempo opportunissimo, non avessi impiegato tutta l'opera mia per mandarlo ad effetto.
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