Pisacane, che aveva scritto il suo Testamento, che aveva disposto minutamente delle sue povere cose,(298) lasciava Enrichetta, lasciava Silvia di appena quattro anni; e come le amava! Enrichetta, piú temprata, piú esperta, piú intelligente della compagna di Pilo o della fidanzata di Nicotera, non poteva neanche disapprovare in tutto la risoluzione di Carlo: aveva discusso con calma il pro e il contro, aveva suggerito il sopraluogo a Napoli, divideva gl'ideali di Pisacane; eppure avrebbe voluto, come donna, abbrancarsi disperatamente al suo caro che (essa lo sentiva come una certezza interiore) non sarebbe tornato piú mai, e rinnegare una fede prodiga unicamente di tanti dolori. Ma s'impose e riuscí a farsi forza. Di piú: s'offri, pel caso che la rivolta divampasse a Genova, qual direttrice delle ambulanze; come a Roma nel '49.(299) Pisacane salpa, ed essa, come Rosetta, in una atroce eventualità ahimè fin troppo prevista, non potrà dirsi neanche sua vedova; «druda» di Pisacane la designeranno le spietate carte di polizia!
Anche in questa sua pagina estrema, la storia d'amore di Pisacane conserva la sua gelosa intimità: non una lettera loro, non un accenno d'altri ci restano per fissare nella nostra imaginazione quell'addio consapevole, che dovette pur essere infinitamente triste.(300) Amore che aveva accompagnato tutta la vita di Pisacane, fin dalla lontana adolescenza; che aveva avuto i suoi splendori e le sue ombre presto dissipate, e la definitiva consacrazione, in Silvia. Amore dei sensi e dello spirito, fusione d'anime, illimitata confidenza reciproca.
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