Venerdí 26 fu giorno di passione per Mazzini e i suoi complici trattenutisi a Genova. Bruciava nelle loro mani il telegramma convenzionale da spedirsi a De Mata: solo al ritorno delle barche si sarebbe potuto sapere se l'ammutinamento a bordo era riuscito, e queste non tornavano mai! Spedir senz'altro il dispaccio? Aspettare ancora? Nell'uno e nell'altro dei casi si correva un pericolo grave, quello di scatenar la sommossa nel napoletano senza l'appoggio della spedizione, o di esporre Pisacane a sbarcare inatteso.
«Fin ora non ho notizie esatte — spasimava Mazzini in un biglietto alla White, la sera inoltrata di quel giorno —. Ma tutto fa credere che le barche e il vapore non si siano incontrati. Se il vapore è nostro, a Pisacane mancheranno 19 uomini, 100 fucili ecc. Tuttavia è uno di quei passi dai quali non si può tornare indietro; e se hanno agito, qualcosa debbono tentare; è delitto di pirateria, il loro. Se le barche avessero incontrato il vapore, le piú piccole sarebbero ritornate di pieno giorno; il non esser giunte dimostra che, cariche come sono di uomini e di fucili, non osano venire se non di notte... Questa fatalità... è veramente troppo grave da sopportare per un uomo; tuttavia, la sopporto...» Non aveva suggellato la lettera che gli toccò aggiungere, con la morte nel cuore; «No; non si sono incontrati».(304)
Come il 9 di giugno, ma disfatto questa volta, preda di una violentissima crisi nervosa, era tornato Rosolino Pilo: nonostante l'accensione di razzi luminosi e di fuochi, nonostante che le barche avessero perlustrato durante tutta la notte la zona stabilita, nessuna traccia s'era trovata del Cagliari!
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