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      Resta da conquistare il castello, un massiccio edificio che incombe, dal sommo del poggio, sul paese e sul mare: in esso, col grosso delle forze borboniche, è alloggiata la compagnia dei militari in punizione, assai numerosa dopo l'attentato Milano. Il castello, chi lo guardi, sembra addirittura imprendibile; senonché, mentre a difenderlo son dei «territoriali» poltroni, resi esitanti, per di piú, dalla voce che subito circola tra loro non essere il Cagliari che il messaggero d'una gran rivoluzione scoppiata in terra ferma (voce, questo è il guaio, non affatto incredibile), ad assalirlo è una mano d'arditi; s'aggiunge il caso che quasi tutta l'ufficialità dell'isola, acquartierata in una casa a mezza salita, anziché precipitarsi al primo allarme in castello, si lascia sorprendere inerme, e in blocco ridurre all'impotenza. In men che non si dica, dunque, il castello, con tutti i suoi difensori, col suo fornitissimo magazzino d'armi, coi suoi bravi cannoni puntati, passa ai rivoltosi, coi quali i militari in punizione fanno immediatamente causa comune.(321)
      Pisacane è il padrone di Ponza; o piuttosto lo è la marmaglia dei relegati comuni, i quali — liberati per prima cosa i detenuti dal carcere — a modo loro gioiscono della conseguita vittoria, sfogando il rancore della lunga massacrante disciplina forzata: il paese (sono le dieci appena) è in pieno tumulto, i ponzesi spauriti si barricano in casa o fuggon nei campi, l'archivio giudiziario e quello di polizia vengon dati alle fiamme, vari edifici pubblici sottoposti al saccheggio, abitazioni particolari visitate e spogliate.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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