Il furibondo rapporto di quel genio strategico del maggiore D'Ambrosio(330) (4 di luglio) poneva in rilievo che «niuno dei funzionarii militari — a principiare da lui! — aveva adempiuto al proprio dovere, per salvare l'onore militare... talché senza l'onorevole risoluzione di tre individui di truppa, avrebbe quell'orda di settarii lasciato sul terreno un ufficiale, ferito un aiutante, portando via armi, munizioni e denaro, senza che un colpo di fucile nemico l'avesse risposto, caso unico nella storia di siffatti attentati». Su tutto ciò i giornali borbonici serbarono, s'intende, il piú accurato silenzio.(331) Era infatti un caso unico di vigliaccheria e d'insipienza. Ma alle supreme gerarchie napoletane non isfuggí di certo, seppur repugnassero ad ammetterlo pubblicamente, che la spiegazione vera, oltre che nello scarso valore delle loro milizie, dovesse cercarsi nella perplessità che aveva preso la guarnigione di Ponza al precipitoso divulgarsi della notizia, che la rivoluzione fosse già bell'e scoppiata nel regno; cioè nel fatto che male si battono, quando non arrida loro certezza assoluta di vittoria, i difensori di un regime quotidianamente discusso, minato e minacciato e messo al bando degli Stati civili. Come pretender da essi eroica fermezza nella repressione dei ribelli quando li turbi la sensazione che i ribelli di oggi potrebbero diventare i dominatori di domani?
Non restava al Borbone che consolarsi al pensiero che quel dannato brigante di Pisacane, sbaragliatore di truppe e conquistatore di castelli, avesse apprese la strategia e la tattica, cosí magistralmente applicate nella «presa di Ponza», sui banchi della sua Nunziatella!
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