Rifletto che questa mia non potrà pervenire all'amico a cui è diretta; perché a questa ora forse è già in via; perdonate il modo con cui è scritta. Addio di somma fretta».
Il giorno dopo — quando Fanelli, immerso nella piú nera disperazione, ancora non si è mosso — ecco gli giunge il dispaccio Mazzini. Non gli restano che ventiquattr'ore per dar fuoco alle polveri: ma con qual mezzo avvertire gli amici, almeno quelli in provincia di Salerno? Il Comitato, organizzatore di un cosí vasto moto, non ha neanche dei corrieri a disposizione! Fanelli aveva poi sempre mentalmente scaricato le difficoltà finali sulle spalle del supposto «capo militare» che avrebbe dovuto arrivare da Genova: di quali miracolistiche virtú risolutrici non lo riteneva egli capace, se avea di giorno in giorno rimandato, in sua attesa, l'adozione di certi minuti ma indispensabili provvedimenti che soprattutto esigevano gran tempo, e che alla vigilia del moto neppure il padreterno avrebbe ormai potuto condurre a buon fine! Questo capo non era giunto e non giunse; con esso venne a mancare a Napoli la volontà inflessibile di mantenere a ogni costo tutti gl'impegni assunti. Nel Comitato qualcuno espresse perfino dei dubbi sull'autenticità del dispaccio; e avanzando la comoda ipotesi che si potesse trattare d'un poliziesco tranello, si cavò dagli impicci, ecclissandosi. Cosí, discutendo, si persero altre ore preziose. Fanelli, pover'uomo, raccolse le sue poche energie e, in quell'ultimo giorno, superò se medesimo.
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