Padula (lo avevano poco prima confermato alcuni di quei saggissimi liberali in Torraca) era un centro importante di cospirazioni settarie; resultava a Pisacane che vi si potesse contare, a dir poco, su «duecento militari, dei quali un terzo incirca munito di schioppi»; a Sala cento individui si sarebbero tenuti pronti ad agire; molti altri simpatizzanti si sarebbero racimolati nelle frazioni intermedie. Possibile che tutto questo, tutto, tutto, tutto fosse millanteria di loquaci capi popolo di provincia?
Ma gli organizzatori della spedizione non avevano tenuto conto di una circostanza di capitale importanza: e cioè che in quel periodo dell'anno, in quella regione, gran parte della popolazione maschile soleva emigrar nelle Puglie per la mietitura del grano.
La tappa Torraca-Fortino (12 miglia) occupò quasi l'intera giornata. I trecento, stanchissimi, tormentati dall'arsura, avanzavano con faticosa lentezza. «In quel tragitto — confidò poi uno di loro — patimmo tanta sete che credo fosse uguale a quella che soffersero i Crociati!»(349) Sul far della sera, al Fortino, fu dato l'alt: gli uomini si accasciarono, affranti; i capi si radunarono nella miserabile osteria del luogo. Mancavano perfino i viveri: si dovette comprare della farina guasta e infornar quella, malamente impastata, per essere in grado, il giorno dopo, di proseguire la marcia.
Passarono di là due militari in congedo, che tornavano al paese d'origine: ecco l'occasione di saggiare lo stato d'animo delle truppe borboniche.
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