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      La prova, se vogliam credere alla deposizione giurata dei due malcapitati, non fu incoraggiante; ché, invitati ad unirsi alla banda, essi tentarono di svignarsela. Ma non ci fu verso: «Carogne f..., avete finora servito il re, ora dovete servire a noi», avrebbe detto loro «uno di quei malviventi in tono di sdegno»; altri li avrebbero percossi. Meno male che un «galantuomo», che tutti chiamavano il «comandante», li trattò umanamente offrendo loro, nell'osteria, qualche ristoro.(350)
      I capi tenevan consiglio. La fascia paurosa di silenzio seguitava ad avvolgerli: nessuna notizia degli amici, nessuna dei nemici; la gente loro manifestamente spossata, non in grado di certo di sostenere un conflitto un po' serio. Conveniva, cosí stando le cose, discendere, secondo il piano fissato, per la rotabile a Padula, presidiata dalle forze borboniche? O non piuttosto, allontanandosi immediatamente dalla vicinanza dei grossi centri abitati, guadagnare posizioni montuose in Basilicata e magari in Calabria, ove attendere in relativa sicurezza che pervenissero rinforzi? Nicotera e Falcone propendevano per questo diversivo; ma Pisacane, che ancora e nonostante tutto fidava negli appoggi rivoluzionari di Padula e Sala, fermamente si oppose. L'idea di una fulminea marcia da sud a nord, verso la capitale, lo ipnotizzava tuttavia, né lo atterriva minimamente la possibilità di un prossimo scontro con truppe borboniche anche superiori di numero: valeva cosí poco, l'esercito napoletano! La regione di Padula-Sala, d'altronde, per l'accurato studio topografico e logistico che n'avea fatto, gli era ormai familiare: mutare itinerario non sarebbe stato come affrontare l'ignoto?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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