Parve per un momento che trionfasse tra gli opposti pareri una tesi intermedia: giunse infatti al Fortino nel cuor della notte (chi sa come benedetto e festeggiato: era il primo segno di vita che, dallo sbarco in poi, fosse venuto a rincuorare la banda!) un emissario degli amici di Lagonegro. Questi mandavano a dire che il paese era sgombro di truppe, che gli «affiliati» eran molti e che i trecento v'erano attesi al piú presto. Ma Pisacane, dopo qualche esitazione, tornò al suo parere piú convinto di prima. Se a Lagonegro il partito era in piedi, perché dubitar che lo fosse, e ben altrimenti efficiente, a Padula e a Sala? Un successo a Lagonegro non avrebbe portato a nulla; un successo nel Vallo di Diano apriva invece la via di Salerno! Gli amici di Lagonegro, dunque, facessero massa e convergessero immediatamente, anche loro, su Padula: non bisognava lasciare il tempo alle truppe borboniche di concentrarsi in troppo gran numero.
Il dubbio, ahimè, non lo sfiorò neppure che i prodi rivoluzionari di Lagonegro, professantisi disposti a tutto pur di scuotere il giogo borbonico entro la cerchia del borgo natío, potessero essere campanilisti al punto da rifiutarsi di far dieci miglia per conquistare la libertà di Padula...
Che Pisacane fosse stato bene ispirato parve a tutti evidente quando, poco innanzi il mezzogiorno del 30, la banda fece il suo ingresso a Casalnuovo, a mezza strada fra il Fortino e Padula. Il paese era infatti in pieno tumulto; i gendarmi s'eran ritirati su Sala, la loro caserma era stata presa d'assalto, e una quantità di persone aspettavano adesso, festanti, i trecento.
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