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      Sapri, Torraca, Casalnuovo avevan crudelmente deluso le aspettazioni di Pisacane; ma eran piccoli borghi rurali, senza importanza. Il disinganno patito a Padula (nessun amico che si facesse vivo, salvo qualche liberale del tipo Gallotti, nessuna notizia delle attese bande sussidiarie, silenzio assoluto da Lagonegro) segnò invece di colpo il fallimento della spedizione, ormai difficilmente evitabile. Improvvisamente, nel terzo giorno da che v'eran sbarcati, i trecento sentirono infatti di essere in terra nemica, all'assoluta mercè del nemico. Perfino il fatto che la cittadina, naturalmente sgombra di truppe, non offrisse resistenza alcuna all'occupazione (marcata dalle solite requisizioni e sequestri, e dalla liberazione dei detenuti dal carcere), parve sottolineare la gravità della situazione, accrescendo l'angoscia di tutti. Altro che marcia trionfale! Intorno a Padula si andava serrando il cerchio di ferro delle forze borboniche: a Sapri, quella mattina medesima, eran sbarcate le truppe provenienti da Gaeta; a Sala, dove si concentravano i distaccamenti di gendarmeria e di guardia urbana del circondario, le compagnie di cacciatori, partite da Salerno, erano attese da un momento all'altro.
      Nel cortile di casa Romano (designata in anticipo per quartier generale delle forze rivoluzionarie) gl'insorti inquietamente bivaccarono; finché, nelle prime ore del mattino seguente (era il primo di luglio), non venne segnalato l'avanzarsi di nuclei borbonici dalla parte di Sala. Terrore? Fuggi fuggi?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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