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      Disordine? No: la stessa prossimità del pericolo, il suo concretarsi in alcunché di preciso e visibile, parvero anzi sollevare i trecento, che già, secondo il piano scartato due giorni innanzi, stavano per iniziare la marcia di ripiegamento sulla Basilicata. Era la fine di un incubo.
      Gli ordini di Pisacane vennero puntualmente eseguiti: evacuato alla svelta il paese, gli uomini vennero piazzati in posizione elevata, disposti a battaglia. Nonostante tutto, il generale era tornato sereno e quasi ottimista: non che s'illudesse minimamente ormai sulla sorte del conflitto, se conflitto si fosse davvero impegnato; ma gli s'era risvegliata l'estrema speranza che, nel momento di scaricare le armi contro i loro fratelli, quei soldati (commilitoni di Agesilao Milano!) e soprattutto quelle guardie urbane, rivelando d'un tratto l'animo loro d'uomini liberi, o avrebbero rifiutato di battersi o addirittura fatto causa comune con loro. Gli ufficiali che guidan quelle truppe, egli andava dicendo, son miei antichi colleghi, so ben io come la pensano, mio fratello è tra loro, come dunque potete temere che intendano sterminarci? E a chi, nel recargli del cibo per la giornata, esprimeva il dubbio che dovessero poi mancargli il tempo e la voglia per consumarlo, egli, alludendo ai borbonici, ribatteva con un sorriso che voleva essere tranquillizzante: «Bene, mangeremo assieme».
      Divisi in due colonne, guardie urbane e gendarmi avanzavano con evidente cautela. S'arrestarono a rispettosa distanza, aprirono il fuoco: un fuoco blando, incerto, inoffensivo; a sentire gli spari si sarebbe detto una caccia.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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