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      Ma sotto il grandinar delle palle la ritirata divenne fuga, scompiglio, si salvi chi può. Gli sciagurati seguaci di Pisacane, fuorché un centinaio che gli si strinsero disperatamente d'intorno, gettaron le armi, follemente correndo chi incontro al nemico, chi verso l'aperta campagna, chi a rintanarsi tra le case di Padula. Battaglia? No, caccia, massacro: feriti sgozzati, prigionieri inermi passati per l'armi, i fuggitivi rincorsi e atterrati. Trentacinque, che in cerca di scampo traversavano precipitosamente il paese, infilarono, inseguiti, un vicolo cieco: impossibile uscirne, si addossarono allora, terrorizzati e inebetiti, al muro terminale, e i fucili borbonici, puntati e scaricati al sicuro, nel cumulo, li abbatterono urlanti come cani randagi, un dopo l'altro, gli uni su gli altri.
      Pisacane, Nicotera, Falcone, quel centinaio dei migliori con loro, capaci ancora d'orizzontarsi, si gettavano intanto, distanziando con la rapida corsa il nemico, per una viottola che, traversato il Vallo di Diano, menava a Buonabitacolo, verso il Cilento. Formavano un piccolo corpo, ancora relativamente omogeneo, ma privo o quasi di munizioni, senza conoscenza dei luoghi, spossato. Se le truppe borboniche li avessero inseguiti, era finita per loro. Ma il colonnello Ghio — il quale, secondo fu ripetuto allora da molti, aveva sostituito all'ultimo momento, nel comando di quelle truppe, lo stesso fratello di Pisacane, da re Ferdinando generosamente esentato(352) — aveva anche troppo da fare, quel giorno, a redigere un bollettino della vittoria da trasmettersi a Napoli, che fosse degno del memorabile evento.


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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