Era un pezzo che all'esercito borbonico non toccava la gloria d'una battaglia vinta, e cosí a buon mercato, tre morti e sei feriti in tutto... Né volle mancare altresí di presenziare, in veste di trionfatore, alle solenni festività religiose ordinate per quella sera medesima dall'arciprete di Padula, per render grazie al Signore.
(Il giusto destino castigò tre anni dopo quel Napoleone: il quale, promosso generale, doveva arrendersi, in Calabria, alle bande garibaldine, con diecimila uomini, senza neanche combattere!)(353)
«Non è facile provocare l'insurrezione di un popolo che, per quanto saturo d'odio, ha l'inveterata abitudine di sfogarlo soltanto a parole; l'impresa, verosimilmente, non condurrà che al sacrifizio della vita di questi uomini coraggiosi e disperati, i quali l'hanno arrischiata nel pazzo tentativo di conquistare al loro paese la libertà e la pace. In questo stesso momento, sulle colline di Calabria o nei boschi del Salernitano, centinaia di uomini dai piedi sanguinanti, affamati, sofferenti, errano col moschetto e il pugnale, affrontando ogni ostacolo e ogni pericolo, spinti dalla disperazione loro e dalla miseria insopportabile della loro patria. La vita per essi non ha alcun valore. Esuli rovinati, tornano a casa per farsi fucilare...»
Cosí, con fantasia commossa e pietosa, intuendo a tanta distanza la tragicità della loro situazione e la vigliaccheria dei loro compatrioti, un giornalista inglese scriveva di Pisacane e dei compagni suoi, due giorni dopo la loro fuga da Padula.
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