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      Non si resero conto che poche ore potevan decidere dalla loro salvezza: non inghiottivano cibo e soffrivan la sete dall'alba di quella giornata terribile! S'adagiarono in terra. Gli orrori veduti, l'incertezza del loro domani, la spossatezza medesima tolsero loro anche il conforto e il ristoro del sonno.
      Erano in piedi, di nuovo, sul fare del giorno seguente. Sanza non era lontana: in poche ore guadagnarono una piccola altura sovrastante il paese. Erano affamati e sfiniti, ombre di uomini; non volevano né saccheggiare né uccidere, non si sognavano neanche piú di «fare la rivoluzione». Domandavan di vivere, ecco, d'essere aiutati a fuggire: come non li avrebbero quei terrazzani soccorsi, che soccorrevano per tradizione perfino i briganti, e dato loro del pane e dell'acqua e insegnata una via di salvezza?
      Ma ecco dall'abitato farsi innanzi una piccola squadra d'urbani, undici uomini in tutti. Coraggiosi, quei difensori del regime borbonico! Appena riconosciuta la banda, spianarono i fucili, tirarono senza esitare. Sessanta dei rivoltosi si ritirarono immediatamente e, girando il colle, fecero per avvicinarsi al paese; qualche minuto piú tardi sventolavano, in segno di resa, delle pezzuole bianche. Gli altri — il gruppo dei provenienti da Genova — restavano fermi sotto la gragnuola di colpi. Concitato colloquio tra i capi; poi Nicotera si staccò, rincorse i fuggenti. Perché mai capitolare, in cento che erano? Delusione su delusione, era vero; ma non si poteva, alla peggio, lasciando Sanza, proseguire il cammino?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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