Disperato Pisani perché il Cagliari non avesse fatto scalo a Ventotene, «siamo proprio — scriveva agli amici di Napoli — in un orgasmo che ci divora»; fremente Magnone, detenuto a Salerno: «Io mi sento ardere le vene e le ossa dalla febbre d'azione. Ma non v'è speranza che mi togliessero da questa bolgia... Pensate escogitare come farci uscire di qui...» Indignato invece Settembrini: «Sono addoloratissimo — cosí alla moglie — e maledico quegli scellerati che sotto specie di libertà, standosi da lontano, mandano giovani generosi a morire, anzi ad esser macellati... Povero paese, lacerato in mille guise dagli sciocchi e dai tristi... Quanto sangue, quanti mali, quante lagrime per queste imprese sconsigliate»; e dopo qualche giorno: «Ho un peso sull'anima, che m'opprime: e l'ergastolo mi sembra piú tormentoso, e chiuso, e stretto, e pesante». Severo, come lui, Silvio Spaventa nel biasimare «il colpo che ci fa perdere il frutto di dieci anni di persecuzioni sofferte e il vantaggio d'una situazione che si rendeva ogni giorno piú difficile pel governo. Pazienza!»(358)
E a Genova? Pervenutovi il sospirato dispaccio convenzionale da Napoli annunziante lo sbarco di Pisacane a Sapri (dispaccio spedito da un dipendente del consolato inglese!)(359), il 29 di giugno era scoppiato, come è noto, per poi miseramente fallire, il tentativo insurrezionale; lo stesso giorno a Livorno: né qui s'addice di ricalcare narrazioni esaurienti, per ritracciare e dell'uno e dell'altro la precipitosa parabola.
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