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      (372) Mazzini, per fortuna di tutti, non esclusi coloro che piú rumorosamente maledicevano a lui, teneva duro; amareggiato, deluso, ferito nell'anima, stringeva le mascelle e tirava innanzi; pareva non avvertisse neanche il coro delle imprecazioni! «Come potete ideare — scriveva a un'amica, in settembre —, ad ogni ritorno, ad ogni anno, s'aggrava piú sempre su me quel tedio della vita che non ha nome ed al quale porrei in qualche modo una conclusione, se qualche affetto non mi confortasse a durare». Ma poi, stupenda ripresa: «Le cose d'Italia sono com'erano; i tentativi falliti sono conseguenza di casi che possono riprodursi, ma che non cangiano la natura delle condizioni generali. Si può fare. Vi sono elementi piú che sufficienti. Una vittoria li porrebbe tutti in moto. Con questa convinzione, è dovere il tentare sempre; e se riesco a raccogliere mezzi sufficienti ritenterò». Cecità? O, come si volle da alcuni, insensibilità di fronte al disastro? Non gli pesava dunque il corpo straziato di Pisacane? Anzi lo risuscitava, l'amico perduto, facendo del suo nome un'idea, lui solo! Gli si gridava il crucifige, ed egli, (in ottobre) in una circolare del partito d'azione, osava scriver cosí: «Il sacrificio eroico d'uno dei migliori nostri, Carlo Pisacane, ha suscitato simpatie universali. A noi, fratelli suoi nell'Associazione, impone un nuovo dovere di costanza e di attività. Noi non siamo uomini se non ci adoperiamo a compirlo».(373)
      Chi dava tanta prodigiosa forza a quell'uomo precocemente invecchiato, malato e incanutito?


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Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano
di Nello Rosselli
pagine 502

   





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