Morale eroica! A Rosolino Pilo — altra sua «vittima predestinata» — scriveva: il colpo è gravissimo, «ragione di piú perché noi rimaniamo fermi sulla nostra via di predicazione e d'azione». La disfatta, le ingiurie lo trasumanano, moltiplicano all'infinito la sua attività, dànno un commosso fremito d'ali alla sua prosa. Processo di Genova? «Badate — fulmina i magistrati — che a giudici Italiani i quali nel 1858 pronunziassero: gl'Italiani che volevano morire o vincere con Pisacane per la libertà della Patria meritano il patibolo o la galera, né Dio né gli uomini perdoneranno». Sottoscrizione per far la dote a Silvia?(374) Opera santa, Italiani, «ma ricordatevi, che se santo è l'aiuto agli orfani dei martiri del paese, piú santo è l'impedire che martiri siano, e ricordatevi che, se mezzi maggiori concedevano a Pisacane l'inoltrarsi securo fin dove popolazioni numerosamente accentrate e meno ignoranti potevano secondarlo, fors'a quest'ora egli sollevava da Napoli tutte le popolazioni che s'agitano tormentate fra le Alpi e il Faro». E via e via, in un crescendo allucinante che ai contemporanei dové sembrare monomaniaco. C'è un momento nella vita delle nazioni schiave «nel quale ogni tentativo, fallito o no, giova visibilmente alla causa del popolo che combatte. L'Italia ha raggiunto questo periodo». Fino a quei commossi Ricordi su Pisacane, culminanti nella espressa certezza che se l'amico «avesse potuto, cadendo, mandarci un ultimo grido, questo grido ci avrebbe detto: rifate, tentate, tentate sempre fino al giorno in cui vincerete».
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