Non appena (dopo 3 giorni) ai giornali fu possibile riprendere le pubblicazioni forzatamente interrotte, i tipografi scioperanti vennero naturalmente additati quali «perturbatori della pubblica quiete». Risposero gli operai con una pioggia di volantini stampati alla macchia: «Molti principali Genovesi — si leggeva in uno di essi — hanno già fatto discrete e giuste concessioni; ma molti sono duri nel persistere... infelici costoro dovranno cedere loro malgrado ai giusti reclami dei loro maltrattati operai». Cedettero invece, senza nulla ottenere, i tipografi. (Questo ed altri volantini genovesi dello stesso periodo si trovano conservati in una importante raccolta, chi sa come pervenuta al British Museum di Londra: Miscellanee politiche genovesi. In un altro di essi, Due parole ai ricchi, invocante soccorsi per le famiglie dei feriti in guerra, si legge il passo seguente: «... ma che mi faccio io a dipingervi l'orridezza della classe miserabile, mentre voi, piú duri ancora, mi vantate innanzi, e i soccorsi dei magistrati di misericordia, e i piccoli pegni restituiti, e i pani della città...? E che son questi soccorsi, pur sempre lodevolissimi, in paragone dei bisogni della società? E a che li mettete voi innanzi se non a vostra vergogna?... In questi momenti di tanto dubbia agitazione... non potremo noi, non potranno i posteri accusarvi dei disordini, dei partiti, dalla miseria quasi necessariamente prodotti?») — È il Promis che manifesta timori per l'avvenire di Torino industriale (GORI, 400). — Udí l'oratore popolare in Genova (tal Pellegrini) il TORELLI (Ricordi politici, 193), il quale ne trasse ispirazione per le sue lettere, piú oltre cit., di Ciro D'Arco.
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