(136) Di netta condanna fu il giudizio di P. sugli avvenimenti del 6 febbraio: «Tristi avvenimenti» egli li definiva nei Saggi, I, 102. I rapporti con Mazzini peggiorarono decisamente dopo di allora, mentre pochi giorni innanzi (il 25 gennaio) Mazzini invitava ancora il suo Cironi, che si trovava a Genova, a valersi del «consiglio d'un militare di fiducia, che può essere P.» per le istruzioni insurrezionistiche da spedirsi in Toscana. Nel '54, invece, Mazzini non fece che lamentare l'atteggiamento dei militari di Genova, nei quali, scrivendo al Sirtori (6 aprile), riconosceva «dopo noi, l'unica potenza».
(137) La lettera di P. sulla «fazione» mazziniana in PESCI, 46 (era diretta a C. Mezzacapo).
Esagerato senso d'indipendenza di P. o intransigenza effettiva di Mazzini? P., ancora nel '52, accennando al «Maestro», aveva scritto: ... «noi (italiani) siamo sempre cattolici e papisti, anzi gesuiti; la discussione, la critica sono per gli italiani bestemmia, i nostri apostoli gridano: silenzio ed obbedienza, come i capi d'una compagnia religiosa».
(138) Anche P. era infastidito della predicazione religiosa di Mazzini. «Perché parlarne? perché sempre cadere nel mistico?», domandava a Dall'Ongaro. Nel III dei Saggi dedicò un ampio esame critico alle idee religiose di Mazzini. P., si sa, era un ateo perfetto.
(139) Altrove Mazzini fu piú esplicito (La situazione, 1857, in Scritti, ed. Daelli, vol. IX, 290-291): «Voi sapete che su questioni sociali, ed altre, correva dissenso tra P. e me; ma quando pensavamo d'Italia,... l'anime nostre s'immedesimavano in un solo palpito d'opere concordi e d'azione».
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