Garibaldi medesimo, c'informa Foresti, s'andava augurando allora d'avere almeno una volta «sotto le unghie per Dio» quel guastafeste del Mazzini! — Quanto a Bertani, Saffi assicura (Cenni ecc. a proemio degli Scritti di Mazzini, ed. Daelli, IX, 130) che egli «insistette indarno per tentare la prova con mezzi maggiori, guardando alla liberazione de' prigionieri e del paese ad un tempo: ma non se ne fece altro»; e anche la MARIO (Bertani, I, 222) dice che nell'agosto '56 il B. avrebbe informato il Panizzi «di altri progetti a cui egli teneva mano, sollecitandolo ad ottenergli dagli amici inglesi il permesso di unire il danaro loro a quanto si poteva raccogliere in Italia per tentare la liberazione di tutti i prigionieri, poi tentare la rivoluzione nel Regno».
(195) In un primo tempo (Pisacane a Fanelli, 16 febbr. 1857) Mazzini insisteva perché la spedizione venisse preceduta dalle insurrezioni di Genova e Livorno «per poi correre con una parte dei mezzi al Sud». Ma P. e Fanelli riuscirono a persuaderlo dell'opportunità di rovesciare il piano, per non subordinare la spedizione al dubbio successo delle sommosse e comprometterne l'esito con la «sveglia» che queste avrebbero dato al governo napoletano (DE MONTE, XXXV). Come è noto, Mazzini si giovò (o sperava giovarsi) per l'insurrezione di Genova del vivissimo malcontento ivi regnante in seguito al trasferimento dell'arsenale alla Spezia e all'aumento del dazio sui generi di prima necessità. «V'era per me un problema militare e un problema politico da sciogliere — spiegò piú tardi Mazzini —; il primo dovea sciogliersi in Napoli, il secondo in Piemonte.
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