Addirittura feroce si mostrò con lui Nicotera, che per altro non era andato immune da censure severe per la grande loquacità dimostrata durante l'istruttoria salernitana. Seguirono incidenti personali anche violenti nel '60 e nel '64, giurí d'onore, interventi conciliativi di Garibaldi, Mazzini, Fabrizi, pubblicazioni di documenti sulla spedizione di Sapri (FABRIZI, DE MONTE, VENOSTA), riavvicinamenti subitanei (come quello fra Nicotera e Fanelli, appunto, in occasione della campagna elettorale del '65 a Napoli). Fanelli era sinceramente convinto di avere fatto tutto il possibile e piú del possibile per assicurare il successo dell'impresa pisacaniana; e aveva ragione, tenuto conto delle sue limitate capacità, e avevan torto coloro che gli davan del traditore. La parola piú equa, nel dilagar di tanta polemica, fu quella pronunciata da Mazzini, che attribuí l'inazione di Napoli, oltreché alla riluttanza dei moderati, al «difetto d'iniziativa» congenito al carattere di Fanelli, «difetto che un discorso di mezz'ora con lui basta a rivelare»; e concludeva, invitando il F. a cessar le diatribe, consacrando invece la «vita a qualche fatto generoso ed energico». Consiglio che il F., già dei Mille, seguí; tanto è vero che nel '66, nonostante la contrarietà e lo sdegno di Bakunin, che non sapeva perdonare certi sentimentalismi nazionali, volle prender parte alla guerra. Nel '57 «era arrivato troppo tardi», ora non voleva mancare al posto del sacrificio e del dovere (NETTLAU, 74). — Quanto al giudizio di Nicotera su Fanelli, giusto è ricordare che esso si era formato unicamente in base agli elementi fornitigli da terze persone con le quali aveva potuto corrispondere dalla galera.
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