Quale analogia si poteva e si può stabilire fra le condizioni del mezzadro toscano e quelle del piccolissimo proprietario piemontese? Tra la vita e le possibilità del pastore di Maremma e del contadino siciliano? Nessuna. Bisognerebbe indagare categoria per categoria, vallata per vallata, e allora soltanto tentare la sintesi. Ma gli studi particolari intorno ai lavoratori agricoli delle singole regioni, nel periodo che va dal 1860 al 1875, sono scarsi, in genere superficiali(3).
Premute dalla necessità di affrontare molti altri problemi urgentissimi in ogni campo, le nuove classi dirigenti non ebbero tempo da dedicare al problema agricolo e se ne occuparono solo in occasione dello scoppio di qualche sommossa contadinesca, sfogo di malcontento, tragica nella sua vanità a richiamare un passato ormai definitivamente tramontato. Interessava assai piú il lento ma vigoroso sviluppo industriale del Nord; nessuna azienda attirava cosí poco il capitale quanto le aziende agricole.
Delle condizioni dell'agricoltura, delle sue possibilità, delle sue necessità poco si sapeva. I comizi agrari furono fondati solo nel 1866 e non cominciarono che alcuni anni piú tardi a dare utili risultati. Il primo sforzo notevole fu compiuto con la Relazione sulle condizioni dell'agricoltura (1870-1874)(4); ma ci volle l'inchiesta agraria, ripetutamente proposta dal Bertani alla Camera, approvata nel 1872, svoltasi poco innanzi il 1880, per rivelare agli Italiani le vere condizioni dei contadini(5).
È dunque difficile trarre conclusioni di carattere generale; difficile ovviare a quella assenza di interesse, di curiosità per le condizioni delle classi rurali, che caratterizza fra il 1860 e il 1870 i ceti dirigenti del nostro paese.
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