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      Ma la grande industria, inesistente o quasi prima del 1860 - solo la lavorazione del lino, del cotone, della seta aveva cominciato a organizzarsi industrialmente nel decennio precedente - non aveva ancora raggiunto, fra il 1860 e il 1870, un grado di sviluppo tale da poter influire sensibilmente sulle condizioni economiche dei lavoratori. L'unità nazionale, con l'apertura di un largo mercato di sbocco, non piú interrotto da continue barriere doganali, aveva posto le premesse indispensabili al suo incremento; ma altre circostanze (le peripezie finanziarie del nuovo regime, la debolissima rete ferroviaria, la perdita di alcuni mercati stranieri, la ripercussione di crisi internazionali, e via dicendo), dettero a questo incremento un ritmo dapprima lentissimo. Le difficoltà piú gravi furono superate fra il '6o e il '66. E solo dopo il '70 la grande industria poté compiere, nel Nord, un rapido e definitivo balzo in avanti.
      L'emigrazione, nello stesso periodo, era fenomeno di modestissime proporzioni, se pure con tendenza a un continuo sviluppo. Nel 1862 gli emigranti furono 35000; nel 1870, 143000(11). Dal Mezzogiorno emigrarono circa 1000 persone nel 1862, 25000 nel 1871.
      Nessun beneficio, dunque, almeno fino al 1872, valeva a rinnovare la vita del contadino italiano e a saldarla, per coincidenza d'interessi, a quella della nazione(12).
      Passivo accasciamento o disperati tentativi di rivolta, piú o meno sfruttati a fini politici: ecco a che si riduceva la sua partecipazione alla vita pubblica.


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Mazzini e Bakunin
di Nello Rosselli
pagine 458

   





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