Alle difficoltà politiche si aggiungono quelle finanziarie. Il disavanzo cresce di anno in anno. I bisogni da soddisfare d'urgenza sono immensi: creare l'esercito, la marina, l'amministrazione civile, sviluppare le vie di comunicazione, promuovere importanti lavori pubblici là dove l'unità è male accetta e dove urge mostrarne i primi vantaggi, stroncare il brigantaggio; organizzare un sistema tributario capace di assicurare allo Stato, anche a spese della piú elementare equità distributiva, le massime entrate; donde ingiustizie, assurdità, tasse impopolarissime.
Ma la necessità piú grave che li preme è quella che si concreta nell'espressione: trasformare l'Italia in nazione. Si tratta di resistere alle forze tutt'altro che trascurabili di disgregazione, di giungere, sia pure a costo di un accentramento spietato, ad annullare gli attriti fra regione e regione, a contemperare e a comporre le loro diverse aspirazioni, tradizioni, esigenze nel quadro della nuova vita unitaria.
Moderati e conservatori hanno dunque altro da fare che pensare al problema sociale. Della cui esistenza, del resto, essi non s'avvedono neppure, negli anni immediatamente successivi al 1860; si eccettui qualche isolato pensatore. La preoccupazione per la questione sociale comincia a diffondersi nella nostra borghesia verso il 1868-69, di fronte ai pericolosi moti del macinato, che rivelano la profondità del malcontento che agita gli strati piú bassi della popolazione; si fa gravissima in seguito allo scoppio della Comune di Parigi, che in Italia ha ripercussioni assai vaste.
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